Il 23 aprile 1967 venne lanciata la Sojuz 1, la prima missione con equipaggio della nuova navicella spaziale sovietica Sojuz.

Il 23 aprile 1967 venne lanciata la Sojuz 1, la prima missione con equipaggio della nuova navicella spaziale sovietica Sojuz. A causa di diverse imperfezioni di carattere tecnico, la missione dovette essere interrotta in anticipo avviando un atterraggio di emergenza; purtroppo il cosmonauta Vladimir Michajlovič Komarov morì durante l'atterraggio della capsula.

L'esplorazione umana dello spazio da parte dei sovietici era riuscita negli anni dal 1961 al 1965 a raggiungere una serie di importantissimi primati: il primo essere umano nello spazio con la Vostok 1 (aprile 1961); il primo volo di gruppo con le Vostok 3 e Vostok 4 (agosto 1962); la prima donna nello spazio con Vostok 6 (giugno 1963); la prima capsula spaziale equipaggiata da più piloti con Voschod 1 (ottobre 1964) e la prima attività extraveicolare con Voschod 2 (marzo 1965).

Successivamente l'Unione Sovietica non era più riuscita ad avanzare in questo settore, dato che era già stato raggiunto il limite tecnico delle capsule impegnate per le varie missioni. Le capsule sovietiche Vostok e Voschod, al contrario delle statunitensi del programma Gemini, non avevano la possibilità di essere pilotate e pertanto non consentivano l'esecuzione di manovre orbitali.

Questo ritardo doveva essere compensato dalla nuova capsula Sojuz, la quale si trovava in fase di progettazione e di sviluppo sin dal 1963.

Tre missioni di prova prive di equipaggio fallirono tra il 1966 e il 1967, terminando con l’esplosione in volo della capsula per la prima missione, con un incendio a terra che provocò l’esplosione del razzo che avrebbe dovuto portare in orbita la seconda missione e con un errore in fase di rientro della terza capsula, che finì per precipitare nelle acque del lago Aral dove poté essere recuperata con enorme fatica dai sommozzatori.

Al contrario, il programma di esplorazione umana dello spazio da parte degli americani era già riuscito nel dicembre del 1965 a effettuare la prima manovra di rendez-vous fra due equipaggi in volo nello spazio durante le missioni Gemini 6 e Gemini 7. Inoltre, con Gemini 8, a marzo del 1966 era riuscito il primo aggancio di due veicoli spaziali nell'orbita terrestre.

Fu a quel punto che l’Unione Sovietica, pur rimasta orfana del principale artefice dei successi spaziali degli anni precedenti, Sergei Korolev, decise di approfittare dello stop del Programma Apollo (seguito alla catastrofe dell’Apollo 1), dando il via al programma Sojuz, con l’ambizioso obiettivo di eseguire una manovra di aggancio di due capsule spaziali con equipaggio nell'orbita terrestre consentendo contemporaneamente a tale manovra il passaggio di cosmonauti da una capsula verso l'altra - un nuovo primato nella corsa verso lo spazio. Pertanto venne programmato di impegnare le prime due navicelle spaziali Sojuz per il primo doppio lancio e volo di coppia equipaggiato di questo programma.

Il 23 aprile 1967 venne così lanciata la Sojuz 1 (con il cosmonauta Vladimir Michajlovič Komarov), cui avrebbe dovuto seguire, a distanza di 24 ore, il lancio della gemella Sojuz 2 (con i cosmonauti Bykovskij, Eliseev e Chrunov).

Poco dopo aver raggiunto la traiettoria d'orbita terrestre ebbero inizio i problemi: uno dei due pannelli solari non si era aperto come previsto e pertanto non poteva essere garantita l'alimentazione d'energia per la capsula. Inoltre Komarov non fu in grado di girare la navicella per rivolgerla verso il Sole. Pertanto neppure l'unico pannello solare correttamente aperto fu in grado di fornire sufficiente energia. Considerando che la capsula Sojuz era dotata di accumulatori di energia di capacità relativamente scarsa, fu immediatamente chiaro che la missione non poteva durare il tempo originariamente previsto. Inoltre i due trasmettitori radio a onde corte non funzionarono correttamente e pertanto un collegamento perfetto poté essere garantito esclusivamente tramite frequenza VHF, cioè solo quando la capsula sorvolava territorio sovietico. Inizialmente si pensò di utilizzare l’equipaggio della Sojuz 2 per dispiegare il pannello che non si era aperto ma poi, l’accavallarsi dei problemi convinse la Commissione di Stato ad annullare il lancio della seconda missione e Komarov dovette rientrare a terra senza nessun aiuto. Alla 18ma orbita, dopo due tentativi falliti, dovette accendere manualmente i retrorazzi frenanti e la capsula iniziò la discesa. Raggiunti i 7 chilometri di altezza, i paracadute si aprirono solo parzialmente e questo portò la capsula ad impattare al suolo alla velocità di 40 metri al secondo, causando la morte del cosmonauta. In seguito si scoprì che, oltre a molteplici errori e imperfezioni di costruzione e di sviluppo, ci fu anche un errore di assemblaggio dei paracadute. Se la Sojuz 2 fosse stata lanciata come programmato, anche i tre cosmonauti a bordo sarebbero deceduti per lo stesso problema. Dovevano pertanto la loro vita ai problemi subito denunciati da Komarov sulla Sojuz 1, che avevano fatto cancellare il decollo della seconda capsula.

Fonte: Wikipedia; immagine: NASA